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De Paola: «Il nostro Cagliari era forte e unito» – ESCLUSIVA

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L’ex centrocampista del Cagliari Luciano De Paola in esclusiva ai nostri microfoni: tra la squadra rossoblù attuale e i suoi anni in Sardegna con Ranieri

È stato uno dei protagonisti della doppia promozione del Cagliari di Ranieri. Luciano De Paola, ex centrocampista rossoblù, ha scritto pagine importanti in Sardegna, contribuendo alla risalita del club nella massima serie. In esclusiva ai nostri microfoni, De Paola ci ha raccontato la sua sul campionato del Cagliari e sui suoi anni in rossoblù.

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De Paola, che idea si è fatto del calo del Cagliari in campionato?
«Penso che il presidente Giulini ha allestito una squadra importante per un campionato da centro classifica. Poi si è ritrovato in posizioni più alte e per restarci bisogna essere abituati a stare lì. Qualche partita è stata persa in malo modo. Maran non aveva iniziato bene, con qualche giocatore fuori ruolo come Nainggolan schierato inizialmente regista. Alla fine ha trovato la quadra con 13 risultati utili consecutivi, salendo fino al quarto posto in classifica. Dopo sono arrivati i risultati negativi fino all’esonero di Maran».

Il punto di forza della squadra è il centrocampo.
«Il centrocampo del Cagliari è un centrocampo importante. Ci sono giocatori di spessore come Nainggolan, Cigarini, Nandez. Sono giocatori di valore importante. Io non so se il Cagliari sia quello dei 13 risultati utili consecutivi o quello che non riusciva più a vincere. Io penso sia una via di mezzo. Bisogna capire cos’è successo. Se passi da 13 risultati utili consecutivi a tre mesi negativi vuol dire che qualcosa non va».

Nel Cagliari di oggi c’è un De Paola?
«Io occupavo la stessa posizione in campo di Cigarini, anche se lui è un giocatore più qualitativo. Io ero una via di mezzo tra Cigarini e Nainggolan. Ero un giocatore di grande personalità. Non vinci tutti quei campionati per caso».

A Cagliari è arrivato in Serie C, con i fratelli Orrù alla presidenza e un giovanissimo Claudio Ranieri in panchina. Una dimensione quasi familiare ma capace di scalare in fretta le classifiche fino alla Serie A: irripetibile nel calcio di oggi?
«Era un altro calcio, fatto di uomini forti. C’ero io, c’era Giovannelli, Bernardini, un leader silenzioso, Pulga, Ielpo… Posso dire tanti nomi. Giocatori di personalità e di carattere. Eravamo un gruppo forte e coeso con un allenatore come Ranieri giovane ma che aveva voglia di diventare quello che è diventato. Lui non mi conosceva, aveva chiesto un centrocampista a Di Marzio che gli aveva risposto “prendi De Paola che è un animale”. Fare quella scalata è stata un’esperienza fantastica. Era bellissimo vedere l’Amsicora e il Sant’Elia pieni. Eravamo forti ed eravamo amici. I giocatori oggi quando vanno in trasferta si mettono le cuffie e usano il telefonino. Oggi c’è troppa tecnologia e poca amicizia, poca coesione. Alla fine vincono quelli che sono amici, caratterialmente forti e che creano gruppo, aiutandosi nei momenti di difficoltà. Noi eravamo così».

Come ha preso la notizia di dover giocare nel Cagliari?
«Tutte le squadre hanno un appeal e il Cagliari aveva vinto uno scudetto. Quando mi chiamarono io arrivavo dal Francavilla e al Cagliari andai di corsa. Atterrato all’aeroporto di Elmas, capii subito che era una città dove poter fare grandi cose. Il Cagliari è sostenuto da un’intera isola. Ricordo quando andavamo in trasferta c’erano tanti sardi a sostenerci. A Monza una curva piena, penso 4000 o 5000 persone».

Ranieri allora era un ragazzo, non molto più grande di quelli che andavano in campo. Si vedeva già la stoffa del vincente?
«Un allenatore vince perché è bravo e perché ha giocatori forti e di personalità. Gli allenatori che hanno i giocatori scarsi non vincono. Ne parlo spesso con De Zerbi. La forza di un allenatore è questa. Il tecnico poi deve essere bravo nella gestione del gruppo, dare un’organizzazione e concetti di calcio, poi la domenica in campo vanno loro. Ranieri aveva tutte queste cose. Ha avuto la fortuna di essere un gran bravo gestore, di saper dare organizzazione e nella lettura delle partite. Poi la differenza l’hanno fatta i giocatori di spessore. L’anno prima che arrivassi io, il Cagliari rischiava di retrocedere ma non c’erano giocatori scarsi. Messi in un altro contesto e con nuovi rinforzi, come me e altri, siamo riusciti a fare una grande cavalcata».

A distanza di anni resta il rammarico di aver giocato poche partite con il Cagliari in Serie A?
«Ero andato via a novembre. Ero un leader dello spogliatoio nei due anni prima, poi in A sono arrivati giocatori importanti come Fonseca, Francescoli, Herrera e Matteoli. Io ho sempre fatto la mia parte, ma ho avuto la sfortuna di essere squalificato due volte contro l’Inter nella prima giornata e poi contro il Milan a San Siro per doppia ammonizione. Poi ho avuto qualche piccolo screzio con qualche giocatore e ho preso la decisione di ripartire e fare altro calcio. Qualche rimpianto sicuramente c’è. Ero convinto di poter stare là e giocarmela insieme ad altri. Ma se io non giocavo non servivo a nulla. Sono andato a Brescia a novembre, ci siamo salvati e poi abbiamo vinto il campionato. Poi sono andato alla Lazio, all’Atalanta, al Cosenza e sono tornato al Brescia, con cui ho rivinto il campionato di B. Dopo Cagliari la mia carriera è stata sempre in salita. In Sardegna ho ancora tanti amici come Matteo e Antonella, erano sempre con noi durante le cene e hanno il sangue rossoblù».

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