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Editoriale

Cagliari, il Collare d’oro degli altri

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Il presidente del Coni Malagò getta le premesse per l’assegnazione del Collare d’Oro al Cagliari nell’anno degli anniversari: il nostro Contropiede fra cronaca e memoria

Giovanni Malagò prende per mano la storia. Con l’applauso ai gol di Riva. Al record di reti subite, appena 11 in 30 partite. Alle intuizioni di Andrea Arrica. A un popolo genuino e laborioso. Senza scordare la foraggiante petrolchimica di Rovelli e Moratti. In breve, il Collare d’oro proposto dal presidente nazionale del Coni al Cagliari dello scudetto, cuce capitoli indimenticabili. E un mix a metà tra successo sportivo e sociale. Negli anni a cavallo del maggior numero di sequestri: «In trasferta ci urlavano banditi e pastori: era una carica micidiale» dice Rombo di tuono. Un’annata, come tante, di lacrime ed emozioni. Ma anche sangue, vigliaccate, rincorse. Sogni e promesse, ottime per essere tradite e accantonate. Ma questa, in Sardegna, non era e non è una notizia. Lo scudetto del 1970, anche per profani e distratti, sa di fiaba e sberleffo. Alla faccia dei pirati, di vecchia e nuova data. Tra olio canforato, azioni in bianco e nero, gracchianti cronache radiofoniche, titoli roboanti. Ansia. Davide che accartoccia Golia è la sintesi. Ma attenzione: nel ’68/69 il Cagliari si piazza secondo a 4 punti da De Sisti, Amarildo e Chiarugi campioni con la Fiorentina. L’anno seguente i Quattro mori firmano una vittoria morale,  tecnica, identitaria.

Calcio pratico e verace. Per una sorta di riscatto-risposta ad angherie e invasori. Il 12 aprile del 1970 i rossoblù di Scopigno battono il Bari all’Amsicora. Riva e Gori in tabellino marcatori, Albertosi in relax. A Roma la Lazio incappuccia la Juve: il tricolore sbarca matematicamente nell’isola, per la prima volta nel Meridione arretrato, in affanno, sottomesso. “Riva e Chinaglia, reti a mitraglia” recita uno striscione all’Olimpico. Quella domenica Carlo Felice indossa i colori del club. La città è avamposto di un’isola che fa festa. Una movida attesa, sincera, genuina. «Sulla mensola del caminetto di una casa di un paesino dell’interno, la mia foto era al fianco di quella di Fra Ignazio da Laconi. Ci univa il rosario. Porta bene, lei e il santo, mi disse la quasi centenaria padrona di casa» ricorda Riva. Pallone, tifo e fede. Militanza laica, spesso disincantata. Eppure, passionale e appassionante come poche. Adesso, con la pandemia a cambiare, forse, pensieri, visioni, persone, il Collare d’oro al club. Nel febbraio del 2017 Malagò l’ha consegnato a Gigi Riva. Giusta nemesi di un exploit da brividi. Quella del Cagliari Campione d’Italia e del suo bomber è e rimarrà indelebile. Per tutti. Anche per quelli, di ieri e di oggi, che praticano uno degli sport più amati in Italia: soccorrere e salire sul carro del vincitore.

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