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Roccotelli: «Cagliari, puoi fare ancora meglio dell’anno scorso» – ESCLUSIVA

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A tu per tu con Gianni Roccotelli, ala del Cagliari 1976-77 e inventore della “rabona”: le impressioni dell’ex rossoblù sul Cagliari odierno

Giovanni Roccotelli nasce il 14 maggio 1952 a Bari. Il primo palcoscenico importante su cui mette piede il ragazzo è Barletta, dove esordisce nel ’70 prima di passare all’Avellino. Dopo una stagione arriva una chiamata importante: Roccotelli veste infatti per due stagioni il granata del Torino, vincendo anche uno Scudetto nel ’75/’76. Purtroppo in due annate le presenze non sono tantissime, e complice anche un infortunio il barese decide di cercare il rilancio in Serie B: a Cagliari. In una stagione si dimostra uno dei migliori della rosa rossoblù, portando su un campo professionistico l’incrociata o, per le nuove generazioni, la rabona. Appese le scarpette al chiodo Roccotelli è tornato a vivere in Sardegna, dove ha aperto una scuola calcio a Quartu Sant’Elena.

Come hai cominciato a giocare a calcio?
 «Facevo lotta greco-romana fino ai 15 anni. Poi un giorno io e un mio amico finimmo per caso in un campetto nella periferia di Bari, dove un signore stava facendo le selezioni. Gli chiedemmo di giocare: all’inizio non mi voleva vedere, dopo 5 minuti mi disse che mi voleva a tutti i costi nella sua squadra. In due anni mi ritrovai in Serie C a Barletta. Feci anche un provino per il Torino: non mi presero, ma dopo 4 anni mi comprarono in Serie A».

Come è nata l’incrociata? Quando l’hai usata la prima volta a Cagliari?
«Diciamo che l’ho inventata contro mio fratello. Giocavamo insieme, usavamo una serranda come porta. Io ero destro e lui mancino, così parava tutti i miei tiri. Allora un giorno mi spostai la palla sul sinistro ma calciai col destro incrociando le gambe. Lui subito mi disse che non era valido, ma da lì capii che poteva diventare il mio gesto distintivoLa prima incrociata a Cagliari fu il primo giovedì, in una partitella di allenamento: saltai un compagno con un dribbling e misi la palla al centro con la rabona. C’erano tremila persone, e tutti rimasero stupiti. Poi mi ricapitò contro la Spal in campionato, ma purtroppo nessun attaccante riuscì a fare gol sul mio cross. A 17 anni mi convocarono per la Nazionale Serie C, e nelle selezioni a Napoli feci due gol di rabona. Così quando mi convocò Bearzot, dopo aver letto il resoconto, mi chiese di fargli rivedere come facevo».

Come è stato l’impatto con la Sardegna? Cosa ti ha spinto a rimanere?
«Dopo due anni in granata avevo collezionato poche presenze, complice una grande concorrenza e un brutto infortunio contro il Milan. Alla fine della seconda stagione Radice mi disse che mi voleva tenere, ma io gli chiesi di andare via perché volevo giocare e non volevo fare da riserva: lui mi propose di andare a Monza, ma non mi piaceva la destinazione. Qualche giorno dopo mi dissero che sarei partito per Cagliari. Inizialmente l’impatto fu strano: ero abituato a Torino, una metropoli dove quando scendevamo dall’aereo facevamo un bagno di folla; quando atterrai a Cagliari venne solo un dirigente a prendermi. Come città era molto tranquilla, però mi mancava un po’ l’affetto dei tifosi. Poi mi sono abituato, ho conosciuto mia moglie e mi sono innamorato della Sardegna e di Cagliari, tanto che ho deciso di restarci».

Hai ancora contatti con i tuoi compagni del Cagliari?
«Ho ancora buonissimi rapporti con i miei compagni del Cagliari: mi vedo spesso con Quagliozzi, Tomasini, Bellini, Reginato e Pusceddu. Facciamo ancora dei tornei estivi per giocare tutti insieme»

Chi è stato il miglior giocatore con cui hai giocato?
«Il primo che mi viene in mente è Claudio Sala, per me poteva essere tranquillamente un titolare in Nazionale. Poi naturalmente Gigi Riva, che mi ha fatto anche da testimone di nozze; un altro nome che potrei dire è Zola, però quando giocò con me non era ancora il Gianfranco che ha incantato tutto il mondo».

Segui ancora il Cagliari? Cosa pensi di Di Francesco e della stagione del Cagliari?
«Guardo tutte le partite in televisione. Di Francesco ha messo in campo i giocatori giusti nei ruoli giusti, e a mio parere ha una rosa di altissimo livello. Sta dando una grande tranquillità all’ambiente e questo è importante, peccato per l’assenza dei tifosi: specialmente a Cagliari sono il tredicesimo uomo in campoPer me il Cagliari può fare anche meglio dell’anno scorso, anche senza Nainggolan. Senza infortuni e Covid permettendo per me si può finire anche tra le prime 8: io sono fiducioso per la gara contro la Juve».

Come ti vedi nel calcio di oggi?
«Penso che andrei a mille. Ero un giocatore molto tecnico e con una velocità con e senza palla non indifferenti, facevo i 100 metri in 11 secondi netti. Sapevo dribblare, coprire bene la palla e aspettare il movimento dell’avversario per capire dove puntarlo e come saltarlo. Mi rivedo un po’ in Lazzari della Lazio, ma io avevo più tecnica».

Come vedi la gestione dell’emergenza Covid?
«Per me si stanno sbagliando tante cose: o si bloccano tutti i campionati o si fanno giocare tutti quanti. Non vedo il senso di fare le cose a metà, a questo punto preferirei fare un mese di lockdown, aspettare miglioramenti e riprendere a pieno regime».

Un ultimo consiglio per Di Francesco per migliorare?
«Deve giocare in verticale, sfruttare le fasce anche con i terzini che spingono. L’obiettivo deve essere dare spettacolo, giocare all’attacco senza dare possibilità agli avversari di riorganizzarsi, un po’ come fa l’Atalanta. Non deve avere paura di perdere il posto, perché le soddisfazioni ce le si toglie solo tentando cose nuove. Purtroppo in Italia c’è la mentalità del risultato, ma Eusebio deve essere più forte e avere coraggio. Altra cosa importante è la panchina, che deve aiutare nei momenti in cui mancano i titolari e deve essere un’importante fonte per evitare gli infortuni».

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