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Pausa. Andrea Cossu

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Nel giorno del suo quarantesimo compleanno, ci prendiamo una pausa dalla quotidianità e torniamo indietro con la mente: Andrea Cossu

Piccole cose, dettagli. Sono quelli che spesso rimangono, per i motivi più disparati, nella mente. Anche a distanza di anni. Esempio: Andrea Cossu. La prima immagine che mi salta alla mente è lo stop: pulito, preciso, elegante. La palla viaggia a 15-20 metri dal suolo, impatta sul piede ma non rimbalza. Resta incollata. Dettagli, non poi così tanto tralasciabili. Perchè se dopo appena 5 partite in C2, da esordiente, riesci a conquistarti una chiamata in Serie B qualcosa vorrà pur dire.

Il talento non si misura in numeri, e questo è acclarato. E’ qualcosa di innato, da sempre complicato da descrivere a parole. Tanti lo considerano l’abilità di compiere azioni difficili facendole apparire semplici. E quando vedi un giovane che tratta il pallone con quella delicatezza non puoi non aver fretta di sbrigare le carte e portarlo con te. Anche se aveva giocato appena 5 partite, da esordiente, in C2. Il Verona lo sapeva bene ed ha fatto tutto il possibile per vederlo sbocciare. Ma Cossu nel corso della carriera ha, per ampi tratti, dato l’impressione di aver tutt’altro che fretta. E per sbocciare, senza particolari assilli, ha dovuto – o voluto – attendere la primavera sarda. Ma prima ci sono stati gli inverni tra Veneto e Lombardia, con le casacche di Verona e Lumezzane. Un saliscendi alla ricerca del guizzo mai arrivato. Caos. Poi il cambio di direzione, la sterzata. Come quelle, vincenti, a cui ci avrebbe abituato sul campo.

Il sole filtra nella cappa veneta: arriva la chiamata del Cagliari. La squadra che Cossu, sin da bambino, ha nel cuore. Quella che seguiva dalla curva quando gli impegni con l’Hellas glielo permettevano. Dagli spalti al campo, catapultato in quella Serie A che tutti i calciatori in erba sognano le notti. La stagione in Serie A, sprazzi di primavera, poi il ritorno al nord. Il primo treno è andato. Vero, magari era uno di quei regionali attempati e scassati che tanto odiamo, ma Cossu ci sarebbe rimasto volentieri: la storia la conosciamo. Senza fretta, ma con l’assillo di lasciare il nuovo inverno ed il sogno di tornare nella città del sole. Così, quando il telefono squilla di nuovo, Cossu non ci pensa un secondo. Volo per Elmas e nuova firma. E’ il gennaio 2008, si attende una nuova primavera. Il Cagliari esce dalle sabbie mobili anche grazie al suo arrivo a metà stagione: quel folletto col 7, col passare delle settimane, accompagna le azioni rossoblu e riporta il sole nella sua carriera. E nel campionato della squadra passata a Ballardini.

Da lì spicca il volo. Con il tecnico romagnolo il classe ‘80 si mette dietro le punte con licenza di inventare. Niente più rigidità: libertà di svariare, spennellare verso l’area o calciare. Armonia. Pensi che ci siano quattro, al massimo cinque soluzioni. Poi lui tira fuori la sesta che si rivela quella migliore”, così parlava di Cossu il responsabile della rappresentativa sarda del ‘97. Il Cagliari aveva trovato il suo elemento mancante. E Cossu l’ambiente ideale, il posto giusto. O, meglio, i posti giusti: in campo e fuori. Il ritorno a Cagliari lo sblocca mentalmente, il ruolo di trequartista gli toglie le briglie sul prato. Dove Cossu corre come quando, nella polvere, inseguiva la palla da bambino con delle casacche che gli facevano da vestaglie. Una carriera ad attendere la primavera, poi l’estate.

Qualità, struttura fisica, ruolo, movenze: in tanti si lanciano in paragoni con sir Zola. Cossu non ha mai mostrato fretta, con la flemma che un po’ contraddistingue i sardi. L’esordio in A, lo dicevamo, nel 2005. L’affermazione a partire dal 2008, alle soglie dei 28 anni. Il debutto in Nazionale – con cui sfiorò, letteralmente, il mondiale sudafricano – a quasi 30. Ed anche alla prima in azzurro giustificò la fiducia di Lippi con una prova ben più che positiva, condita da sprazzi come questo.

Non ha mai mostrato fretta, Cossu. Ha aspettato il momento. Come in campo, quando a suon di dribbling e piroette attendeva il posizionamento in area dei vari Acquafresca, Matri, Jeda. Una sorta di pausa, intesa alla sudamericana. Un gesto spesso naturale, poco ragionato, a cui da fuori si dà poco peso. Ma che risulta fondamentale in un calcio sempre più rapido. Avete presente quelle doppie finte a rientrare o quelle piroette in mezzo al campo? Ecco.

Certo, gli assist, la visione di gioco, il dribbling: tutti aspetti per cui ricordiamo Cossu in campo. Pausa e stop sono sfumature che lo rappresentano a 360 gradi, anche se sono sempre passati un po’ inosservati. Come lui, del resto. Pausa e stop, sul prato verde ma non solo. Perchè dopo sette stagioni e mezzo di fila in rossoblu, dopo quella bruciante retrocessione, è arrivato un nuovo stop dal Cagliari. E una pausa dal calcio: circa cinque mesi da svincolato. Poi a fine novembre l’accordo con l’Olbia, in Serie D. Altro cambio di direzione. Con la promessa di tornare nella sua città a chiudere la carriera.

Promessa – ogni tanto accade – mantenuta: nel 2017/18 una stagione da comprimario, a 37 anni. La qualità, anche a quell’età, non svanisce. E poco importa se tanti già l’hanno scordato o se il suo nome non è nella lista dei bomber italiani: non fa che aggiungere fascino ed anche un pizzico di rammarico alla sua storia. Una storia che somiglia a quella di altri talenti mai del tutto emersi, ma di cui s’è parlato meno. E’ stata spesso oscurata dallo speciale legame che Cossu ha avuto ed ha con il Cagliari e che qui abbiamo volutamente messo in secondo piano. Se non fosse rimasto intrappolato in sistemi tattici rigidi che stritolano la fantasia, forse avrebbe raggiunto la A in anticipo. E  anche la sua storia sarebbe stata diversa. Tanti se, altrettante certezze. Anche nelle piccole cose. Resta impresso quel frame in cui il pallone gli resta incollato al piede. Di bello c’è che non è un frame, ma lo sembra. E non è semplice, anche se lo sembra. Pausa, sorriso. Fine.

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