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Albertosi: «Lo scudetto è stato una rivincita della Sardegna» – ESCLUSIVA

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Verso il 12 aprile: a tu per tu con Enrico Albertosi. Il portiere dello scudetto del Cagliari ci racconta in esclusiva i suoi ricordi dell’impresa del 1970

Il 12 aprile si avvicina e continua la nostra serie di interviste ai giocatori che nel 1970 hanno portato il Cagliari a vincere lo scudetto. Il portiere di quella magnifica impresa era Enrico Albertosi. L’ex numero 1 rossoblù ci ha raccontato in esclusiva i ricordi di quella stagione diventata leggendaria.

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Albertosi, lei è stato uno dei protagonisti di quello scudetto.
«In Sardegna penso che non arriverà mai più uno scudetto. È stata una cosa importantissima, soprattutto per la Sardegna. Era conosciuta solo per rapimenti e banditismo. Quando abbiamo vinto il campionato c’è stata una rivincita della Sardegna nei confronti del Continente. La Sardegna non è stata più vista in quel modo, ma era diventata una regione importante».

A distanza di 50 anni, Cagliari vi ricorda ancora tutti con affetto. Che effetto fa?
«Il popolo sardo è orgoglioso. Se ti dà l’amicizia te la dà tutta la vita. A distanza di 50 anni io ho ancora tanti amici in Sardegna. Un paio di volte all’anno vengo sull’Isola a trovare i vecchi compagni di squadra che sono rimasti lì. C’è una riconoscenza incredibile».

Anche chi non vi ha potuto ammirare conosce la vostra impresa.
«Il tifoso sardo, ma anche chi non è sardo, si ricorderà per sempre di questa impresa. È stata un’impresa inimmaginabile. Noi lì per lì non ce ne rendevamo conto, ma se a distanza di 50 anni si festeggia ancora il 12 aprile, data della vittoria matematica del campionato con il 2-0 sul Bari, vuol dire che è stata davvero un’impresa epica».

È stato anche votato dai nostri lettori come il migliori portiere della storia del Cagliari.
«A Cagliari sono passati altri bravi portieri, prima e dopo di me. Probabilmente la vittoria del campionato e il record degli 11 gol subiti mi ha fatto diventare forse più importante degli altri».

La forza di quel Cagliari infatti, oltre i gol di Riva, era soprattutto la difesa. Solo 11 gol subiti, nessuno è riuscito a fare meglio.
«Non è solo merito mio. Avevo davanti una difensori che non mollavano mai come Martiradonna, Niccolai, Tomasini e Zignoli. Il portiere è determinante, probabilmente io lo sono stato quando qualche mio difensore faceva qualche errore o un bravo attaccante riusciva a superarli e presentarsi davanti a me. In quei momenti subentravo io e siamo riusciti a mantenere la porta inviolata per tante partite».

Qual è stata la parata più bella di Albertosi in quella stagione?
«La più bella è stata sul rigore parato ad Haller che poi Lo Bello ha fatto ripetere a Torino. Purtroppo in quel momento lì eravamo 1-1, ci giocavamo il campionato e non potevamo perdere. Io ho parato il primo rigore, poi Anastasi sulla ripetizione ha fatto gol, ma era come se in porta non ci fosse nessuno perché avevo avuto un crollo di nervi: avevo parato un rigore così importante in una partita così importante e l’arbitro l’ha fatto ripetere. Nonostante tutto è la parata che ricordo maggiormente di quella stagione».

C’è un ricordo particolare legato alla decisiva partita contro il Bari del 12 aprile?
«La gente che c’era all’Amsicora. Era pieno zeppo. Dopo il primo gol siamo scattati tutti, prima eravamo un po’ tesi. A fine partita poi c’è stata l’invasione di campo. Non so come facesse ad esserci tanta gente. Ti portavano in trionfo, ti spogliavano e ti portavano via tutto per avere un ricordo».

Come prese il trasferimento in Sardegna?
«Non la presi bene. Sapevo che la Fiorentina voleva darmi via, ma sapevo anche che dovevo andare all’Inter. Poi quando il presidente mi ha detto che ero stato ceduto al Cagliari ho risposto subito “no, io non vado”. Allora però non potevi rifiutarti. Le società erano proprietarie dei cartellini e tu dovevi andare dove ti mandavano oppure restare fuori rosa senza giocare. Poi quando sono arrivato a Cagliari mi sono subito reso conto che la Sardegna non era come veniva dipinta. Ho fatto immediatamente amicizia, io poi sono uno che dà confidenza un pochino a tutti. Il sardo è uno che se ti dà l’amicizia non te la toglie più per tutta la vita».

E con il suo arrivo, Albertosi, ha contribuito a far crescere poi quella squadra.
«Il primo anno infatti siamo arrivati secondi. Ci ha battuto la Fiorentina e mi sono girate le scatole perché hanno vinto il campionato proprio quando sono andato via, dopo che per tanti anni ci abbiamo provato senza riuscirci. Mi sono rifatto l’anno dopo vincendo a Cagliari. Lo scudetto vinto a Cagliari vale mille volte quello della Fiorentina e un milione di volte uno di Inter, Juve, Milan e le altre grandi squadre».

C’è il rimpianto di aver vinto “solo” uno scudetto?
«Sì, il ripianto c’è. L’avremmo vinto sicuramente anche l’anno successivo. Ricordo che prima della partita con la Nazionale in Austria avevamo vinto a Milano con l’Inter grazie a due gol di Riva. Eravamo già primi in classifica. Poi sappiamo tutti com’è andata a Vienna. L’infortunio di Riva è stato determinante. Per noi davanti era l’uomo che doveva concludere e fare gol impossibili, mentre io dietro ero quello che doveva tenere la rete inviolata dopo che lui aveva segnato. Abbiamo retto per un po’ di partite, ma senza Riva la squadra si è sfaldata».

Ne avete pagato le conseguenze anche nella Coppa dei Campioni?
«Avevamo vinto in casa con l’Atletico Madrid 2-1. Poi siamo andati là senza Riva e non c’è stato niente da fare. Quell’Atletico Madrid era forte, ma con Riva sarebbe stata sicuramente un’altra cosa. Loro hanno giocato più serenamente, mentre noi purtroppo ci siamo solo difesi».

Albertosi faceva parte anche del blocco Cagliari che ha portato la Nazionale italiana in finale nel Mondiale messicano del 1970.
«Siamo riusciti ad arrivare fino alla finale. Alla prima partita si era infortunato Niccolai ed è subentrato Cera, però la Nazionale era partita con 6 giocatori convocati dal Cagliari e 5 giocavano. Con l’infortunio di Niccolai siamo rimasti in 4 in squadra. Abbiamo contribuito a portare l’Italia alla finale contro il Brasile, purtroppo persa. Abbiamo trovato un Brasile stratosferico. Credo che una squadra così il Brasile non la vedrà mai più».

Quindi il Brasile era davvero imbattibile o anche eravate voi scarichi dopo la storica semifinale con la Germania?
«Sicuramente anche noi eravamo scarichi. In quella partita ha giocato tutto un po’ a favore del Brasile. Noi avevamo fatto mezz’ora di tempi supplementari, mentre loro avevano eliminato facilmente l’Uruguay. Avevano giocato sempre a livello del mare, mentre noi sempre a 2000-2500 metri. La fatica giocando a quelle altezze lì si fa sentire. Loro sono arrivati a Città del Messico il giorno prima della finale non ne hanno risentito. Noi purtroppo abbiamo retto per 65′ sull’1-1, dopo il secondo gol siamo crollati».

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