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2015

L’ultimo re sardo

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C’è una storia che arriva da Nettuno e una da Leggiuno, sono due storie diverse ma alla fine accomunate da qualcosa di più della sillaba finale delle loro città di provenienza. Sono due ragazzini di provincia Luigi e Daniele, uno di una provincia del ricco nord che vive i fasti di un’Italia nel pieno del boom economico, Daniele invece è figlio di un campione del mondo, di quella compagine che fece sognare una nazione intera, era il 1982 e quell’anno Bruno Conti portò casa coppa e scudetto, un bis che riesce solo ai veri campioni. Nell’82 aveva appena 3 anni Daniele, ma probabilmente già sognava di vestire la gloriosa maglia giallorossa della sua Roma e di ripercorrere le gesta del padre. Luigi vent’anni esatti prima quella coppa del mondo conquistata in Spagna, sognava di giocare nell’Inter e arrivava invece in Sardegna, una Sardegna povera, un’isola quasi sconosciuta al resto d’Italia e conosceva quella gente sarda che poi sarebbe diventata di lì a breve la sua terra per il resto della vita.

 

Daniele e Luigi non ci volevano venire in Sardegna e invece ci sono finiti… Finiti in tutti i sensi, all’inizio per caso ma poi hanno deciso di finire qua la loro carriera di calciatori. Non lo sapeva Gigi quando per la prima volta vide il campo polveroso in terra dell’Amsicora, che con quella maglia avrebbe vinto uno scudetto e sarebbe diventato il re indiscusso dei sardi; non lo sapeva Daniele quando arrivò nell’ormai lontano 1999, che sarebbe diventato il simbolo di questa terra, che qui sarebbero nati i suoi figli e che a questa causa avrebbe dedicato cuore anima e l’intera carriera da calciatore.

 

Appena arrivato era solo su “fillu’e Bruno Conti”, ma ne ha fatta di strada quel ragazzino con le meches che non suscitò certamente l’amore immediato del popolo sardo. Da queste parti per guadagnarti la stima della gente devi lavorare duro e dimostrare di che pasta sei fatto, ma se sei della stessa pasta dura dei sardi, diventi uno di loro, e lo resti per tutta l’esistenza. Due caratteri accomunati da una timidezza e una riservatezza predominanti, quelli di Gigi e Daniele. Due caratteri inizialmente chiusi, ma due persone ricche di quelle caratteristiche che un sardo riconosce da lontano: la dignità del lavoro, la fierezza anche nella sconfitta, la caparbietà e quell’attaccamento forte ai propri simboli e alle proprie radici, tutte caratteristiche che in Sardegna, trattandosi di un’isola, fanno un giro su loro stesse e si amplificano all’ennesima potenza.

 

Così Daniele in qualche anno si è guadagnato la stima della sua gente e da su “fillu’e” è diventato semplicemente il “Capitano“. E oggi che lui è uno di noi, con il cuore ferito da una retrocessione amara seppur meritata, gli dedichiamo il nostro tributo. È un grazie che viene dal cuore, per questi sedici anni di carriera in rossoblù, per quella frase che mai ci scorderemo che pronunciò il giorno dopo la sua non convocazione in nazionale: “è il Cagliari la mia nazionale”, per quel goal al 95° di quel Cagliari Napoli che nessun tifoso sardo potrà mai scordare, per quel goal nella sua Roma, con la maglia rossoblù alzata al cielo che lo rese ai nostri occhi onnipotente.

 

Daniele e Luigi due simboli di un calcio che va via via ad estinguersi ogni anno un po’ di più, due eroi accomunati da quell’amore per i nostri colori che difficilmente scorderemo, perché i sardi, si sa, non dimenticano e ieri, privati di quell’ultimo giro di campo, di un ultimo goal del loro capitano, della possibilità di vederlo vestire per un’ultima volta i 4 mori e la fascia di condottiero, in tarda serata si sono dati appuntamento ritrovati sotto casa del Capitano a dedicargli gli applausi che merita.

 

Grazie Capitano, fratello, figlio di questa terra. Un anno seppur sfortunato come questo, mai potrà cancellare quel mare di ricordi che ti legano e ti legheranno indissolubilmente a noi. Sono passati 40 anni tra le storie di Gigi e Daniele e 40 anni dopo la Sardegna ha ritrovato il suo Re. 

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