Gori: «In coppia con Riva non c'era bisogno che pensassi anche io al gol» - ESCLUSIVA - Cagliari News 24
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Gori: «In coppia con Riva non c’era bisogno che pensassi anche io al gol» – ESCLUSIVA

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Verso il 12 aprile: intervista esclusiva a Sergio Gori, numero 9 del Cagliari dello scudetto. L’ex attaccante rossoblù ricorda l’impresa del 1970

12 aprile 1970. Il Cagliari supera il Bari 2-0 e vince matematicamente lo scudetto. I gol portano la firma dei due attaccanti rossoblù: Gigi Riva e Sergio GoriRombo di Tuono e colui che è stato spesso definitivo come la sua spalla perfetta. Il ruolo di Gori, numero 9 di quel Cagliari, è stato fondamentale per vincere il campionato. In esclusiva ai nostri microfoni, l’ex attaccante rossoblù ha ricordato l’impresa del 1970.

Gori, a 50 anni di distanza dallo scudetto, in Sardegna siete ricordati ancora come degli eroi. Che effetto fa?
«È strano essere ricordati ancora dopo tanto tempo, anche da una generazione di giovani che non ha nemmeno visto giocare quel Cagliari. È curioso, ma vuol dire che i genitori hanno fatto buon uso di quello scudetto, raccontando ai figli tutte le gesta di quell’anno. Senza contare poi che il Cagliari ha vinto quel campionato senza risorse finanziarie contro colossi come Inter, Roma, Juve e Milan».

Vi siete resi conto subito dell’impresa che avevate fatto o il tempo ha rafforzato tutto?
«Io me ne sono accorto col passare del tempo. Quando sono tornato a Cagliari a fine carriera la gente veniva ancora a chiedermi gli autografi o ricordava quelle partite. Mi ha dato l’impressione di essere stato compartecipe di un’impresa che rimaneva nel tempo, soprattutto per la Sardegna e i sardi, per le rivalse dei lavoratori in Continente. Io ho preso coscienza di tutto questo col passare del tempo».

È arrivato a Cagliari nel ’69. Come prese il trasferimento? Si aspettava di vincere immediatamente?
«La presi bene perché la mia carriera all’Inter era terminata. I rapporti non erano più come dovrebbero essere tra giocatore e società. Ero contento di quel trasferimento. Certo, non arrivai a Cagliari con l’idea di vincere subito».

Lei ha vinto anche in altre piazze. È vero quando dicono che lo scudetto a Cagliari vale di più?
«Certo che vale molto di più. La società e la squadra si basava solo su scambi ben architettati da Arrica senza risorse finanziarie. Denota una preparazione tecnica particolare. Non c’era solo Scopigno, ma tutta la società. Gli scambi con Inter e Fiorentina portarono alla costruzione di una formazione con delle caratteristiche perfette».

Nell’anno dello scudetto si sbloccò solamente a gennaio. Segnò 6 gol: tutti pesanti, compreso quello al Bari del 12 aprile.
«Nella prima parte del campionato non pensavo al gol, ma alla funzionalità della squadra. I miei movimenti in campo erano fatti in modo che la fase d’attacco della squadra fosse finalizzata a Riva. Tutti noi fungevamo da preparatori dell’azione perché avevamo davanti un giocatore che bene o male segnava sempre. Dopo che mi sono sbloccato, ho segnato 6 gol. Eravamo primi in classifica dalla quinta giornata, con la difesa più forte e il capocannoniere del campionato, man mano che andavamo avanti ci rendevamo conto che avremmo potuto vincere il campionato. La rete al Bari suggellò il titolo matematicamente: la Juve perse a Roma con la Lazio e il mio fu un gol importante».

Si pensa a lei come la spalla perfetta di Gigi Riva. Era un po’ come alcuni centravanti di oggi che aiutano più la squadra anziché limitarsi a segnare?
«Non c’era bisogno che io, Domenghini o gli altri pensassimo al gol. C’era già chi lo faceva o lo faceva molto bene. L’importante era oltre a segnarne tanti, come li ha fatti, non subirne. Infatti abbiamo incassato solo 11 reti in tutti il campionato. Le caratteristiche di ognuno di noi si completavano per rendere la formazione più solida anche in difesa. Io ho sempre avuto caratteristiche non da punta fissa, ma più da seconda punta che tornava e aiutava in difesa. Non era un sacrificio, ma un’esplosione di caratteristiche adatte a quella formazione».

Ha qualche rimpianto della sua esperienza di Cagliari?
«Il rimpianto è quello dell’anno dopo. Eravamo in testa alla classifica anche nell’anno successivo, ma si fece male Riva. Avremmo potuto vincere anche in quella stagione. Il secondo rimpianto è quello di essere andato via dalla Sardegna».

Le è dispiaciuto andarsene?
«All’epoca, devo essere sincero, no, non mi era dispiaciuto. Dopo però ho capito, come spesso accade il tempo fa capire tante cose compresi gli errori e ho il rimpianto di essermene andato».

Ha seguito il campionato del Cagliari di quest’anno?
«Sì, l’ho seguito, sia la parte di grandi successi all’inizio sia le ultime partite. Spero che questa sospensione del campionato possa essere di riflessione e ripartenza quando si rinizierà, come se si riniziasse da zero dimenticando l’ultimo periodo».

Purtroppo la festa scudetto e il suo ritorno a Cagliari è stato posticipato.
«Ho aspettato 10 anni. Ho sempre pensato al momento in cui ci saremo ritrovati con tutti i miei compagni, invece dobbiamo rimandare la cosa. L’importante è che poi si possa fare la festa, anche con qualche mese di ritardo».

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