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Cera: «Al Cagliari? Son stato davvero bene»

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Lo Scudetto del Cagliari continua ad incantare grandi e piccini. Pierluigi Cera ha raccontato di quell’evento storico e della sua avventura in Sardegna

Se si pensa al Cagliari dello Scudetto, il primo nome che viene in mente è sicuramente quello di Gigi Riva. Ma quella mitica squadra rossoblù era formata da tanti calciatori che in Sardegna ancora vengono identificati come eroi. Uno di questi è Pierluigi Cera, ex centrocampista isolano, che ha raccontato il suo passato in terra sarda e quel magico evento, diventato storia, ai microfoni ufficiali del sito ilcalcioquotidiano.it. Di seguito, riportiamo alcuni estratti della sua intervista.

LA SARDEGNA E IL CAGLIARI – «In Sardegna ci arrivo perché avevo parlato con il presidente del Verona e mi era stato detto che ero stato richiesto da ben 14 squadre di Serie A. Il Cagliari, che era appena stato promosso dalla Serie B, aveva una certa disponibilità economica e mi ha acquistato. Ed io le dico subito che in quel momento non volevo assolutamente trasferirmi in Sardegna. Era la prima volta che andavo via da casa, dove stavo bene. Accettai il trasferimento soprattutto perché in quell’anno la selezione della Nazionale partecipava alle Olimpiadi di Tokyo nel 1964 e quindi io, che avevo già fatto le vaccinazioni e tutte le pratiche burocratiche per partire, sarei tornato in Italia solo alla fine di novembre. In pratica l’ipotesi di stare a Cagliari, che per me era temporanea, sarebbe terminata dopo pochi mesi. Poi però, le dico la verità, nonostante il primo periodo di ambientamento, mi sono trovato benissimo a Cagliari. Si creò un affiatamento bellissimo con gli altri ragazzi della squadra, con i quali ci si vedeva non solo agli allenamenti, ma anche dopo. Si stava sempre assieme. Un gruppo molto unito, al di là anche dell’età di ognuno di noi. Eravamo come una famiglia. E quindi posso solo dire di essere stato davvero bene in Sardegna».

IL RAPPORTO CON SCOPIGNO – «Scopigno mi chiese se me la sentivo di giocare dietro. Mi diceva: “Pensaci tu, Piero pensaci tu”. Me lo ripeteva sempre. A livello tattico io sono stato un privilegiato. Ho giocato spesso in ruoli non miei. Ho fatto il difensore puro, marcando anche Gigi Riva, nella partita Cagliari-Verona. Con i gialloblu arrivammo in Sardegna senza difensori e quindi giocai io in difesa, marcando Gigi. Ma non accadde solo con lui. Sapevo anche marcare, oltre che giocare in mezzo al campo. Con Scopigno capitò dunque che mi chiedesse di giocare dietro. E la sua frase era sempre la stessa: “Piero, pensaci tu”».

QUELLO STORICO SCUDETTO – «Era una squadra forte in tutti i reparti. È logico che in avanti avessimo un giocatore come Riva, ma anche in mezzo al campo ed in difesa eravamo messi molto bene. Eravamo una squadra vera. In effetti il campionato l’avremmo potuto vincere l’anno prima. Abbiamo giocato meglio e meritavamo decisamente di vincere lo scudetto nella stagione precedente. Era una squadra che aveva una coppia di attaccanti composta da Riva e Boninsegna. La coppia di attacco più forte del campionato. E sotto il profilo del gioco meritavamo di vincere il campionato nel 1968/69».

DIFFERENZE DEL CALCIO – «Il calcio di allora era fatto da marcature fisse. Oggi, sotto l’aspetto tattico, ci sono notevoli differenze. Anche se, a dire la verità, quando vedo un portiere che imposta l’azione da dietro non mi piace moltissimo, perché spesso, da questo tipo di ripartenze, si verificano degli errori che causano problemi alle difese. In tutti i casi, i difensori di oggi, a differenza di quelli del passato, sanno impostare, sanno inserirsi, sanno dribblare e sanno attaccare. Ai miei tempi, in tutta onestà, i difensori molto difficilmente salivano a dribblare o a partecipare alle azioni offensive. Oggi invece il difensore ha una valenza tecnica sicuramente maggiore. Ad esempio, un giocatore del genere è Leonardo Spinazzola della Roma. Ti salta l’uomo con una facilità estrema. A miei tempi si era molto più difensivisti, ci si limitava a marcare a uomo gli avversari. Potevi inventarti qualcosa con l’eventuale raddoppio. Ma il calcio era molto diverso da oggi, con i difensori che non giocavano moltissimo la palla rispetto ad adesso».

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