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Zola: «Riva per me è una divinità, era vicino alla gente e combatteva per loro. Resta unico»

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Le dichiarazioni dell’ex attaccante del Cagliai, Gianfranco Zola, su Gigi Riva: le belle parole su Rombo di Tuono

Una lunga intervista all’insegna dei ricordi e dell’uomo che era. Gianfranco Zola racconta Gigi Riva ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. Dalle parole dell’ex numero 10 del Cagliari fuoriescono emozioni viscerali e meravigliose di quello che fu l’uomo e il calciatore, scomparso nella giornata di lunedì. Ecco, di seguito, le parole di Zola:

CALCIATORE – «Deve sapere che mio padre non aveva mai giocato a calcio. E non aveva mai visto una partita. Lontano anni luce da tutto ciò che poi è stata la mia vita da sportivo. Fino all’età di 30 anni circa gli capitò di vedere Gigi Riva. Vide la partita del suo Cagliari. E soprattutto venire a fare lui e difende matto di calcio e di quell’omone che faceva gol. Da quel giorno divenne un maniaco del calcio. Da quel momento lui si è sportivamente innamorato di Gigi, sono diventato un calciatore».

IDOLO – «Per me era Dio, il centro dell’universo. L’uomo che ha raffigurato e sostenuto un popolo, il nostro popolo. Lui non era un uomo costruito. Era naturale. Non è nato in Sardegna ma ha scelto la mia terra».

PRIMA VOLTA – «Vidi per la prima volta quell’omone grande e carismatico in un piccolo torneo, un memorial per il quale Gigi era venuto a dare il calcio d’inizio. Eravamo a metà degli anni 80 credo».

L’UOMO – «Ci sentivamo, piacevolmente anche. Parlavamo anche della nostra gente. Pur non essendo andato qui aveva una sensibilità verso questa terra straordinaria e unica. Era vicino alla gente, la gente ci teneva. I minatori, il venditore di latte, ha parlato in loro favore e ha sempre spalleggiato le loro battaglie. Senza una frase in più ma con ragionamenti sobri, senza giri di parole inutili».

RETROSCENA E RICORDI – «Era schivo, onesto e schietto. Non aveva problemi a esporsi. Non aveva peli sulla lingua. Ricordo che una volta mi confidai con lui sulla mia avventura in Inghilterra. Mi consigliò una certa condotta, non lo ascoltai e me ne pentii, glielo dissi un po’ di tempo dopo. Ero al secondo anno in Inghilterra e gli raccontavo di come andavano le giornate della settimana in previsione della gara successiva di Premier League con il Chelsea. Allenamenti intensi, uno al giorno mattutino e il pomeriggio si socializzava. C’era un approccio meno intenso che in Italia. Mi piaceva, si lavorava meno che da noi. Mi raccontò che non condivideva nulla o ben poco di questa gestione. Mi disse ” sai Gianfranco, mi piace in Inghilterra e il calcio inglese, ma ho sempre visto la preparazione come un periodo fondamentale. Se la fai bene poi ti protegge tutto l’anno”. Io ero convinto invece che quel che facevamo avrebbe portato benefici e meno stress. Magari più tempo libero senza pensare solo al calcio. Passai un’annata con molti stop e alcuni infortuni. Un giorno, mi tornarono in mente le sue parole: aveva ragione».

UNICO – «Umanamente mi piaceva anche che se ne fregava di dire cose che magari sarebbero potute essere scomode. E giocava a calcio da campione. Sono stati fatti paragoni con altri, magari prendendo in considerazione il sinistro, la potenza, il fisico, il colpo di testa. Sembrerà banale, ma per me restare un pezzo unico».

DIO – «Ci conoscemmo per bene in Nazionale. Lui era legato a Baggio ma dispensava consigli a chi li chiedeva. Lo chiamai prima del mio ritorno in Sardegna, a Cagliari: mi chiesi come era l’ambiente, la squadra, Cellino. Fu importante, mi chiede suggerimenti enormi. Gigi per me era una divinità».

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