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Un mese senza Gigi Riva: il pecorso sofferente di uno dei simboli del Cagliari

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Nato agli inizi di Novembre a Leggiuno, sulle rive del Lago Maggiore, Gigi Riva inizia il suo percorso verso l’immortalità senza nemmeno saperlo. Per l’Italia si guadagna due fratture alle gambe, per lo sport riesce a fare ciò che pochissimi altri faranno dopo di lui, diventando rapidamente il simbolo di un particolare periodo della storia del calcio e ancor più il simboli di una squadra, quel Cagliari per cui lui ha impegnato con ardore incredibile la sua carriera.

È circa un mese che Riva non è più dopo aver vissuto una vita che ha cambiato per sempre il mondo del calcio Italiano e aver modificato per sempre il futuro calcistico della regione a cui ha dato tutto. Pochi come lui al giorno d’oggi avrebbero fatto ribaltare le quote calcio con tanto di esaltazione collettiva degli appassionati, ancora meno sarebbero stati in grado di lasciare il marchio che lui ha depositato su una regione sfortunata dal punto di vista delle vittorie.

La nascita della leggenda

Rombo di Tuono, almeno come soprannome, nasce durante un’incredibile partita Inter contro Cagliari durante l’Ottobre del 1970, con Gianni Brera che ribattezza Riva in questa maniera in seguito all’incredibile prestazione data. Di Riva si capiscono subito le caratteristiche che lo renderanno immortale: una forza fisica davvero senza paragoni, un coraggio da leoni, una capacità di colpire di testa davvero invidiabile e, sopratutto, un carisma e una capacità di trascinare gli altri con sé che si fatica davvero a trovare nella figura degli sportivi.

Già parte del mito si era consolidata prima di quel nome. Riva nel 1967, in un amichevole contro il Portogallo, viene abbattuto dal portiere portoghese ricevendo nel contempo una frattura di tibia e perone di quelle che uccidono le carriere più prestigiose. Fortunatamente per Riva non sarà così ma già quello bastava per dare il gusto del dramma, il primo dei tanti che attraverserà la carriera del campione.

Facciamo un salto temporale di soli tre anni nel futuro per arrivare a uno degli altri momenti che consacrerà Riva alla figura di eroe maledetto del calcio moderno, vittima delle aggressioni altrui.

Nessun infortunio può fermare l’eroe

Italia contro Austria 1970, match valido per le qualificazioni a Euro 72: il terzino Norbert Hof, soprannominato da quel momento in poi come “il boia del Prater” colpisce intenzionalmente Riva al settantaseiesimo minuto provocando nel mezzo un infortunio grave, rompendo il perone del calciatore e distaccando i legamenti della caviglia in un colpo solo.

Nessuno piazzerebbe mai una bet sul ritorno in campo di un giocatore dopo un disastro del genere, specie se consideriamo gli anni e la medicina dell’epoca. Riva chiaramente non si lascia spaventare e torna a giocare l’anno dopo, lasciando nel mentre il povero Cagliari all’interno di un campionato dove non riuscirà a dire la sua.

L’ultimo frammento di una carriera già consegnatasi alla leggenda nonostante questi infortuni arriva durante il corso del 1976, con uno strappo degli adduttori che porta alla fine della carriera. In tutto questo però, anche stavolta, Gigi Riva riuscì a far capire che non era un giocatore come gli altri; non ci furono lacrime ne gare d’addio, bensì una dichiarazione alla stampa dell’epoca che titolava “se sarà possibile voglio provare a dire di nuovo la mia”.

Rombo di tuono non ha mai smesso di dire la sua, prima in un ruolo dirigenziale in una squadra che perde progressivamente i fondi dei petrolieri e poi come accompagnatore della nazionale, senza dimenticare poi la sua scuola calcio, da cui prima o poi usciranno campioni in grado di eguagliare se non le sue prestazioni, almeno il suo cuore.

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