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Simeone: «Mi piacerebbe giocare in Premier League. Sul rapporto con papà Diego…»

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Giovanni Simeone ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano inglese The Guardian: queste le parole dell’attaccante

Giovanni Simeone ha rilasciato una lunga ed interessante intervista al quotidiano inglese “The Guardian”. Queste le parole dell’attaccante rossoblù.

PRIMO TATUAGGIO – «Avevo 13 anni quando mi sono fatto il primo tatuaggio. Dovresti avere 18 anni, ma ero un tale fan della Champions League che ho fatto il logo a 13 anni. Mio padre non voleva che lo facessi. E mia madre ha detto: ‘Perché?’ Ho detto: ‘Perché il giorno in cui gioco e ci segno il mio primo gol …. poi bacerò il tatuaggio. Avevo 13 anni e il mio atteggiamento era: ‘Europa, Europa, Europa».

CALCIO – «Sapere molto sul calcio e niente su qualsiasi altra cosa ti porta solo così lontano. Il mio primo ricordo è di essere in campo, di essermi preso una gomitata in faccia e un dente è caduto. Il primo dente che ho perso. Avevo circa cinque anni. Ero sdraiato sul pavimento e mia madre e mio padre sono corsi a cercare il dente».

RUOLO – «Volevo giocare a centrocampo come mio padre e lui ha detto: ‘No, vai avanti, colpisci forte la palla.’ I portieri erano piccoli e gli obiettivi erano grandi, ahah! Quindi, diceva: ‘Tira! Tira!».

EUROPA – «Siamo tornati in Argentina ma ho sempre avuto l’idea di tornare in Europa. Sono nato a Buenos Aires, ma era come se fossi europeo. Con il tempo ho capito che l’Argentina è la mia patria, ma nel profondo sentivo l’Europa vicina. Non è solo il calcio, è la vita che ho vissuto che mi ha reso insieme europeo e sudamericano».

GIOCATORI – «Teo Gutiérrez, Mandzukic, Villa, Abreu, ma quello che mi ha davvero affascinato è stato Radamel Falcao. Chiedevo sempre a mio padre di lui e guardavo cosa faceva, come si allacciava gli scarpini, ogni piccola cosa».

CHOLITO – «Quando ho raggiunto la prima divisione in Argentina, hanno iniziato a chiamarmi ‘El Cholito’, piccolo Cholo. Oppure: “figlio di Simeone”. Mi sono messo sulla difensiva. Dicevo: “Non sono El Cholito, sono Giovanni Simeone, niente di più».

PAPÀ – «È difficile anche per i papà. C’è tensione; sono consapevoli di quella sensazione che i loro figli non potranno mai eguagliarli. Ho segnato gol, fatto progressi, sono arrivato in prima squadra, ma era come se non fosse abbastanza».

SOLDI – «C’è anche un contesto sociale diverso. Nel sistema giovanile al River, ero con bambini che non avevano davvero abbastanza da mangiare. La differenza era enorme. Ho provato a dimostrare che ero solo un altro bambino che cercava di farlo proprio come loro, ma è stato difficile. All’inizio il gruppo non mi ha accettato per quello che sono. Dicevano: “Perché giochi a calcio se hai plata [soldi]?” Molti di loro hanno giocato per i soldi; era una via d’uscita per le loro famiglie. Era la mia passione, anche la loro, ma avevano famiglia, agenti, persone che dicevano loro: E plata e plata e plata. Alcuni finiscono per credere di giocare [solo] per i soldi, quindi arrivano in prima divisione e il gioco è fatto. Questo perché da bambini sono in un mondo in cui sentono: plata, plata. Avevano quella pressione, quelle richieste, una pressione che in realtà non avevo».

ATLETICO O INGHILTERRA – «Devi essere pronto per qualunque cosa accada: colui che sopravvive è colui che si adatta, non colui che progetta. Ma mi piacerebbe, sì. Ho sempre detto al mio vecchio che il miglior calcio ora è il calcio inglese. Penso anche che sia un calcio in cui potrei davvero sfruttare al massimo le mie qualità, è molto attraente, un posto che mi piacerebbe provare; forse mi adatterei».

PAPÀ SIMEONE – «Il mio vecchio non ha mai detto di non essere un giocatore o di essere questo. Mi ha dato la libertà. Da bambino, il mio vecchio era il mio idolo: ogni figlio vuole essere come suo padre. E amo il calcio. Ti lasci molto alle spalle, ma se hai la passione, ce la fai».

FUTURO – «Il tempo nel calcio vola via, ma non solo nel calcio, ma nella vita. Ci sono 24 ore in un giorno e quel tempo scivola via senza rendersene conto. Alzi il telefono ed è passata mezz’ora. Immagina quando smetti di giocare… Penso che mi rimangano solo 10 anni di carriera, a 35 anni è finita. Ora penso a divertirmi in campo».

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