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Gigi Riva: «Cagliari e la Sardegna mi hanno dato serenità con il loro affetto»

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Rombo di tuono di racconta a tre giorni dal suo compleanno e dall’uscita del docufilm sulla sua vita

Gigi Riva, il mitico uomo immagine del Cagliari scudettato, ha rilasciato una lunga intervista per il “Venerdì” di Repubblica a tre giorni dall’uscita di “Nel nostro cielo un rombo di tuono”. L’opera del regista Riccardo Milani è un docufim sulla vita di uno dei più grandi eroi della soria del calcio. Queste le sue parole:

CAALCIO MODERNO – «Perché il calcio di oggi mi annoia. È così monotono, si passano la palla da una parte all’altra del campo, aspettando soltanto che si apra un varco. Troppo lento. Noi eravamo più rapidi, andavamo presto in verticale. E via a cercare il goal».

IL GOAL – «Per me il gol era la liberazione, voleva dire passare poi una settimana tranquilla, aver fatto bene il mio lavoro. Era la rabbia che esplodeva. Nel calcio ho trovato quello che la vita non mi aveva dato».

INFANZIA – «Non ho avuto un’infanzia facile, ho perso mio padre, mia sorella e mia madre, dimenticavo tutto per un momento soltanto quando giocavo a pallone».

LA SARDEGNA«E a Cagliari ho avuto un po’ di serenità, un minimo, anche grazie ai miei compagni che mi hanno sempre aiutato. E grazie alla Sardegna che ha sempre manifestato grande affetto. Nella vita ero passato da un pianto all’altro. Qui tutto mi sembrava meno doloroso. Per forza ho rifiutato tre trasferimenti al nord»

DEPRESSIONE – «La porto addosso, ci sono abbonato. Ci sono cascato dentro quando ho smesso di giocare. Mi schiacciava. Ma ora sto meglio».

DE ANDRE’ – «Dopo esserci detti ‘ciao’ siamo stati per un’ora quasi in silenzio. D’altronde, con i nostri caratteri… . Poi tra una sigaretta e un whisky si è sciolto un po’ il ghiaccio. E alla fine, passate ore, lui mi ha regalato la sua chitarra e io la mia maglia».

MUSICA – «Quando con la squadra salivamo sul pullman io avevo conquistato il privilegio di sedermi accanto all’autista. E insieme la gestione dei nastri musicali. Mettevo sempre Bocca di rosa e La canzone di Marinella. Anche se la mia preferita era Preghiera in gennaio. I miei compagni mi tiravano di tutto, ma non mollavo. De André mi ha insegnato tanto, che se dicessi non saprei esattamente neanche che cosa. Forse ho ammirato il suo comportamento».

DIFENSORE ROGNOSO – «Burgnich. Era fatto di filo e di ferro. Era di legno e di acciaio. Aveva un fisico spaventoso. E io non mi tiravo mai indietro. Eravamo simili. Mi metteva giù e diceva che non voleva, con l’espressione del viso un po’ falsa. Faceva parte del gioco: voleva eccome».

INCONTRO CON MESINA – «Un giorno, a Cagliari, me lo sono trovato in auto. Ma io ho sempre deciso da solo. Figuriamoci se poi me lo diceva Mesina… (di rimanere a Cagliari n.d.r.)».

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