Caso Folorunsho, ecco perché non c'è stata nessuna sanzione per il giocatore del Cagliari: la spiegazione - Cagliari News 24
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Caso Folorunsho, ecco perché non c’è stata nessuna sanzione per il giocatore del Cagliari: la spiegazione

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Caso Folorunsho, è stato svelato il motivo per cui non c’è stata nessuna sanzione del Giudice Sportivo per il giocatore del Cagliari di Pisacane

Nessun provvedimento disciplinare per Michael Folorunsho, il centrocampista del Cagliari, in seguito alle gravi offese platealmente rivolte alla madre di un avversario, Mario Hermoso (difensore della Roma), durante la recente sfida della squadra isolana.

L’attesa per una possibile indagine si è spenta con la pubblicazione del comunicato del Giudice Sportivo, come scritto dalla Gazzetta dello Sport che non ha richiesto alcun approfondimento sul caso.

Dalle prime ricostruzioni, il referto arbitrale non conterrebbe riferimenti espliciti che colleghino le parole del mediano rossoblù all’ammonizione ricevuta, il che avrebbe comunque precluso l’indagine per il principio del ne bis in idem. Tuttavia, il Giudice Sportivo Mastrandrea ha stabilito che non sussistevano margini per sanzionare lo “sfogo” tramite ulteriori mezzi.

La vicenda, esplosa domenica scorsa, continua ad alimentare un dibattito acceso sulla giustizia sportiva e i suoi limiti.

Il ruolo della prova TV e i limiti del codice

La mancata sanzione ha portato al centro delle critiche l’attuale Codice di Giustizia Sportiva. Molti, dopo aver visto la violenza verbale in campo, avevano ipotizzato un intervento della Prova TV. L’Articolo 61 del Codice, però, ne consente l’uso esclusivamente per “condotta violenta o gravemente antisportiva o concernenti l’uso di espressione blasfema”.

Le frasi di Folorunsho, sebbene gravissime, non rientrano nelle categorie menzionate. Di fatto, l’insulto sessista e minatorio, a differenza della bestemmia, non è equiparato a una violazione sanzionabile attraverso questo strumento.

L’insulto sessista non è discriminatorio?

Un’altra distinzione cruciale riguarda l’assenza di un intervento d’ufficio da parte della Procura FIGC. L’Articolo 28 sanziona severamente il “comportamento discriminatorio“, ovvero ogni condotta che comporti offesa per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, ecc.

Sorprendentemente, nel contesto sportivo, un insulto grave come quello rivolto alla madre dell’avversario (un atto sessista) non viene classificato come “discriminatorio” ai sensi dell’articolo 28. Ciò impedisce alla Procura di avviare un’indagine, a meno di una denuncia formale da parte del giocatore romanista o del club giallorosso, ipotesi che appare improbabile dato l’uso consolidato di “chiudere le questioni in campo”.

Il silenzio delle istituzioni su una condotta così esplicita e volgare, in un momento storico che vede il calcio in prima linea nella lotta alla violenza sulle donne, lancia un messaggio preoccupante.

Molti osservatori ritengono che si sia andati oltre la semplice “tensione di gioco”, rendendo l’impunità del gesto un danno significativo all’immagine e all’etica del calcio italiano.

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