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Bianchi: «A Cagliari esperienza straordinaria. Il gol alla Reggina? Uno dei più belli» – ESCLUSIVA

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A tu per tu con Rolando Bianchi: l’ex attaccante del Cagliari ci ha raccontato in esclusiva i suoi ricordi rossoblù e la sua sul momento del calcio italiano

A Cagliari arrivò giovanissimo, nel gennaio del 2004, disputando in Sardegna appena una stagione e mezzo, tra la promozione e la salvezza della stagione successiva. Dopo le esperienze Reggina, Manchester City, Lazio, Torino, Bologna, Atalanta, Maiorca, Perugia e Pro Vercelli, Rolando Bianchi ha appeso gli scarpini al chiodo e fa il telecronista sportivo di DAZN. Ospite di Casa CagliariNews24, la nostra trasmissione quotidiana in onda sulla pagina Facebook, ci ha raccontato in esclusiva i suoi ricordi dell’esperienza in rossoblù e non solo.

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Ciao Rolando, iniziamo dalla tua esperienza di Cagliari. È stata formante per te, agli inizi della tua carriera.
«È stata un’esperienza straordinaria. Ero agli inizi della mia carriera, distante da casa, mi ha fatto crescere a livello caratteriale. Mi ha dato tanto a livello umano e tecnico. Ho avuto la possibilità di giocare con grandissimi campioni come Zola, Suazo, Esposito e Langella. A Cagliari ho vissuto momenti complicati. Sono stato spesso criticato, ma ero l’attaccante meno adatto in determinate situazioni. Entravo al posto di Zola, avevamo caratteristiche completamente diverse, ma mi sono adattato. Non ho mai mollato. Poi ho avuto la fortuna di giocare in Nazionale Under 21 e ho avuto la possibilità di lanciare la mia carriera».

I tuoi ingressi in campo erano spesso accompagnati dai fischi, non tanto per te, ma per Arrigoni che sostituiva Zola. Come vivevi quelle situazioni?
«I fischi sicuramente mi davano una carica in più. Non era colpa mia. Per come mi allenavo, con tutto il rispetto per tutti, meritavo di giocare. Davanti però avevo grandi giocatori e giocavo poco. Per le mie caratteristiche e la mia età non era facile entrare per così pochi minuti. Anche quello mi è servito per crescere a livello caratteristiche».

Nonostante la folta concorrenza, rifaresti la scelta di andare a Cagliari?
«Rifarei tutto. Per me è stata un’esperienza importante. Ho la Sardegna nel cuore, anche se mi hanno contestato. Sono persone di grandi valori. Poi è normale esce Zola, entra il giovane Bianchi e le critiche piovono».

Ci racconti un aneddoto della promozione del 2004?
«Mi ricordo quando arrivai e mi dissero che non era un momento facile per la squadra. La rosa però non mi sembrava malaccio. Il momento era difficile, ma vincemmo la partita successiva per 5-1».

Eri un attaccante vecchio stampo, ruolo che nel calcio di oggi non ha grandissimi interpreti. Però proprio a Cagliari, anche se infortunato, c’è Pavoletti. Ha caratteristiche che ricordano le tue?
«Ero un attaccante un po’ atipico. A livello aerobico ero forse uno dei più forti in Serie A, parlano i numeri. A livello di gioco prediligevo stare più negli ultimi 30 metri. Pavoletti mi piace molto, ti tiene il pallone nei momenti di difficoltà. Oggi l’attaccante viene utilizzato meno, ma è un po’ una pecca del calcio moderno. Ora la prima punta viene demonizzata, si cerca di giocare con il falso 9. Di Barcellona però ne conosco uno, gli altri cercano di scimmiottarlo».

Celebre il tuo contro la Reggina, proprio da subentrato con i fischi del Sant’Elia.
«Penso sia stato uno dei gol più belli che ho fatto in carriera. Ne hanno parlato poco, secondo me è stato pazzesco per gesto atletico e coordinazione. L’ho messo all’incrocio dei pali, non era facile, sono saltato spalle alla porta. Lo ricordo con piacere. Ero entrato tra i fischi, ma sapevo le mie qualità e la mia professionalità. Ho sempre dato il massimo. Con i compagni avevo un grande rapporto, soprattutto con Maltagliati e Iezzo, li sento ancora oggi. Essere fischiato non è mai bello, ho cercato di cambiare la partita e quello è stato un gol determinante per la nostra salvezza».

Il carattere da attaccante grintoso l’hai forgiato a Cagliari in quei momenti difficili?
«Sono sempre stato così. Sono nato in una famiglia di animali. Mio padre non molla mai, l’ho presa da lui. Ho sempre amato le pressioni, ti fortificano. Ho amato le piazze che mi mettevano in difficoltà perché volevo mostrare il mio valore. Cagliari mi ha dato la possibilità di crescere. A Reggio Calabria mi sono rotto il ginocchio e ho fatto la carriera che ho fatto. Sono state tutte tappe fondamentali della mia vita».

Dopo la Reggina sei andato al Manchester City, com’è stata l’esperienza in Premier, anche se non era lo stesso City di oggi…
«Abbiamo fatto comunque un grande campionato, poi a livello qualitativo non è nemmeno la stessa Premier League di adesso. Sono due epoche diverse, non si possono fare paragoni. A livello di esperienza è stata importante. Mi hanno criticato per quei 6 mesi, poi ho scelto di tornare in Italia perché volevo giocarmela in Nazionale. Il campionato inglese era poco seguito. Sono andato alla Lazio, ma forse ho fatto una scelta troppo veloce. Ho sbagliato la tipologia di gioco della squadra, sono stati 6 mesi importanti, ma con un’altra squadra avrei sfruttato meglio le mie caratteristiche. Al City comunque ho fatto bene, ho ancora a casa tre premi di man of the match. Sono state esperienze belle».

Un altro gol importante con la maglia del Cagliari fu quello in B a Terni, fondamentale per la promozione.
«Fu fondamentale la cavalcata di Suazo. Fece un’accelerazione da 0 a 100 chilometri orari peggio di una Porsche, era impressionante. Mi diede l’opportunità di fare gol. Eravamo una squadra con una qualità pazzesca e anche il livello della Serie B era altissimo. In rosa avevamo Zola, Suazo, Esposito, Langella, Maltagliati, Loria, Festa… Una squadra che in Serie A oggi giocherebbe a mani basse».

Fu un campionato di Serie B che iniziò in ritardo con mille problemi, che oggi sembrano inezie rispetto a quelli che deve affrontare il calcio e tutto il Paese. Non è ancora chiaro se la stagione debba riprendere o mettere la parola fine. Che idea ti sei fatto?
«La mia idea è facile. Capisco gli aspetti economici, il calcio è un’industria importante, ma siamo ancora in alto mare. Giocare a luglio con 40 grandi è una follia. Terminato questo poi riprendi con l’altro, non fai nessun tipo di sosta e sarà così anche l’estate prossima con l’Europeo. Diventa tutto talmente stressante che la gente non si divertirebbe. Il campionato deve concludersi qui, con le problematiche del caso: ingaggi tagliati dei giocatori e sacrifici di società e Stato. Si deve iniziare a settembre con un nuova stagione. La classifica parlerebbe chiaro: le ultime tre retrocesse e le prime tre in Serie B, Benevento, Crotone e Frosinone promosse. Terrei la classifica di ora, facendo vincere il campionato alla Juventus. Sarebbe la soluzione migliore, non ne vedo tante altre. Riprendi ora la preparazione, dopo che i calciatori sono stati fermi due mesi. Impossibile che riescano ad avere una condizione decente prima di un mese-un mese e mezzo. Nel ritiro estivo fai molta meno pausa. Secondo me è molto a rischioso a livello fisico. Non sarebbe neanche divertente vedere le squadre giocare in situazioni climatiche non ideali».

C’è il rischio per gli atleti di infortunarsi più facilmente?
«Assolutamente. Ho la fortuna di potermi allenare tutti i giorni, mi alleno come se fossi ancora un’atleta. Garantisco però che per un professionista non allenarsi per due mesi a determinati livelli è pericoloso. In più i giocatori dovrebbero fare un ritiro forzato di tre mesi. Oltre lo stress fisico ci sarebbe quello mentale. Stare chiuso con la squadra in albergo per tanto tempo non è il massimo, l’ho fatto da giovane con le squadre vecchio stampo. Mentalmente diventa stressante e si rischiano gli infortuni veri».

Rolando Bianchi ha deciso cosa fare da grande? Fai il telecronista per Dazn, ma studi anche per diventare dirigente e allenatore.
«Ho la fortuna di fare il programma su Dazn dove commento tutti i gol della Serie B. Ho fatto tutti i corsi per allenatore, direttore sportivo e di preparazione fisica, perché vorrei essere un allenatore completo a 360°, a livello tecnico e dirigenziale».

Hai appreso qualcosa anche nella tua esperienza inglese sulla figura dell’allenatore-manger.
«Al City ho avuto Eriksson e Mark Hughes. È un bel ruolo. Eriksson faceva più il direttore, ci allenava il suo secondo. Il ruolo del manager inglese mi piace molto, anche se nel calcio moderno è difficile da fare. Ormai ci sono figure prestabilite per ogni ruolo. Conoscere però più ruoli all’interno di una società di calcio aiuta. Trasmettere la passione che ho avuto io ai giocatori e creare un ambiente sano, puoi avere solo dei risultati positivi».

Granze Rolando per la disponibilità.
«Grazie a voi, gentilissimi. E forza Cagliari!».

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