Cellino: «Giulini sta facendo tanto per il Cagliari. Vi racconto il momento in cui ho comprato la società!» - Cagliari News 24
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Cellino: «Giulini sta facendo tanto per il Cagliari. Vi racconto il momento in cui ho comprato la società!»

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Massimo Cellino, ex presidente del Cagliari, ha rilasciato delle dichiarazioni sui suoi anni alla guida della società isolana: le sue parole

Massimo Cellino è l’ospite delle prime due puntate de “La Voce sarda”, trasmissione in onda su Videolina. L’ex presidente del Cagliari ha raccontato molti momenti e diversi retroscena della sua più che ventennale esperienza alla guida dei rossoblù. Le sue parole:

L’ACQUISIZIONE – «Nino Orrù mi chiamò, sentendomi tramite mio fratello, chiedendomi la disponibilità di prendere il Cagliari perché loro non ce la facevamo più a livello economico. La volontà era quella di cederlo in Sardegna e non nella penisola».

CELLINO SR – «Mio padre era piemontese, ma era innamorato della Sardegna, gli era più attaccato dei sardi. Neanche 60 giorni dopo l’acquisto mi disse “figlio mio, ma cosa hai fatto”. Lui non conosceva nessuno nel mondo nel calcio e non conoscevamo nulla, imparammo in fretta a nostre spese. All’inizio io gli nascosi gli investimenti che servivano per il Cagliari, dio volle che il primo anno andammo in Coppa Uefa, dove recuperammo dei soldi. Ai tempi abbiamo speso sopra alle nostre possibilità, con quei guadagni però abbiamo costruito la società ed il centro sportivo. Competevamo ccon realtà della penisola molto più forti del Cagliari. Quando lui morì fu tutto più difficile».

IL CALCIO NEI SUOI ANNI – «Ai tempi le società di calcio non erano a fine di lucro erano spa con impegni. Era un momento di passaggio tra calcio amatorialEe e professionismo, era un periodo con dei vincoli molto importante a livello economico. Ho vissuto tutti i cambiamenti del mondo del calcio, ai tempi stavano diventando società a fine di lucro. Dal 2003-2004, quando siamo stati promossi in Serie A, ho vissuto alcuni tra i momenti più floridi del calcio; fino al 2013-14 è stato il momento migliore. Entrarono soldi anche dai diritti televisivi e le società divennero più sostenibile».

LA SARDEGNA – «La forza della Sardegna è quella per cui i sardi tifano il Cagliari, ai tempi c’era molto calore, ma pochi soldi! La nostra, ahimé, è una regione povera, ma quello che potevano dare lo davano con tutto il cuore. L’affetto lo sentivi ogni giorno sul Cagliari, una cosa impagabile, una cosa che ancora oggi esiste a differenza di molte altre piazze. I sardi sono tanto attaccati al Cagliari e lo stesso Cagliari fa di tutto per poterselo meritare. Questo perché vedo che anche il nuovo presidente sta facendo dei grossi sacrifici per tenere in piedi la squadra. Non lo dice, ma so quanto è difficile. Nel 2005 ero presidente di Lega di Serie A ed il Cagliari guadagnava 36 milioni di euro di base più i premi vari, oggi il Cagliari prende il 40%. C’è da fare i complimenti a Giulini. giorno parlai con mio padre, il quale mi disse: “La Sardegna ci ha dato tanto, se possiamo restituirgli qualcosa – e se te la senti – fallo».

O’NEILL – «Lui era un ragazzo eccezionale, tanto cuore e tanta tecnica, forse è stato l’unico giocatore che mi ha fatto un regalo: un orologio da tavola Cartier, molto bello. O’Neill e Dario Silva comprarono assieme la macchina a Mario Manca, il nostro magazziniere, perché non ce l’aveva. Cose del genere le ho viste solo nel Cagliari di quegli anni, era una squadra con molto cuore. Ai giocatori ai tempi davo i soldi giusti e la gente voleva davvero stare a Cagliari, è stata una nostra grande fortuna».

I GIOCATORI VOLEVANO RESTARE AL CAGLIARI – «Ricordo Conti, Agostini e Cossu, ma potrei parlare di tanti giocatori, Olivera che non voleva andare via o Valdes. Tutta gente che sarebbe rimasta a Cagliari. Allegri è un allenatore al di sopra della media, stessa cosa a livello di intelligenza, quando è arrivato a Cagliari era insicuro, pativa i giornalisti. Aveva il dono di saper ascoltare e consividere, si sedeva e ragionava, mai successo con altri allenatori e sono stato nel calcio per trent’anni. Zola venne in Sardegna al Chelsea non gli rinnovarono il contratto, lui si aspettava più affetto contando quello che gli aveva dato. Venne al Cagliari per darci una mano, ma il suo cuore era rimasto in Inghilterra. Non dico che fosse più legato all’Inghilterra che alla Sardegna, ma era legato a quella terra, lì ha vissuto momenti importanti della sua carriera».

BRESCIA E RICORDI ROSSOBLU’ – «Se tornassi indietro eviterei di fare molte scelte come l’andare a Brescia, ho sfidato il diavolo e ho perso. E’ la città in cui si bestemmia di più, è una cosa che odio e che mi offende. Mettevo le multe a chi le diceva tra staff e magazzinieri. Avrei preferito non fare questa fine dopo 35 anni di calcio! Nel calcio ho perso e guadagnato molti soldi, a Brescia li ho solo persi tutti. Ho perso la dignità e l’amore per il calcio, me l’hanno fatto passare; l’animo del mondo può essere molto cattivo. Io ho la coscienza apposto, il calcio non è un terreno buono per le persone per bene! A Brescia solo perché ero sardo mi emarginavano, amo la Sardegna, devo tanto ai tifosi sardi; mi hanno sostenuto e anche contestato. La gente a Cagliari mi stava vicina, devo tanto a Cagliari e alla sua gente: io lì sono stato davvero felice».

SANT’ELIA – «Pensavo di star andando contro le istituzioni per il Cagliari, l’ho pagata cara, non avevo peli sulla lingua».

FARE IL PRESIDENTE – «Oggi non farei più il presidente di una società di calcio, mi ha portato tanta cattiveria ed invidia! Io mi sono sentito il paladino di un popolo mentre non lo ero, nessuno mi aveva nomimato tale e combattevo per qualcosa in cui forse credevo solo io. Non guardo neanche più il calcio in TV, sono come un eroinomane che si deve disintossicare. Oggi senza calcio mi sento in crisi d’astinenza, ma devo stare lontano per non essere tentato. Devo ancora avere dei chiarimenti per le cose successe a Bresca, spero di trovare un giudice buono».

QUESTIONE STADIO – «Ogni volta che iniziavo a parlare di stadio perdevamo partite, era una maledizione. Non è facile avere i soldi, lo stadio, la società e la possibilità di sostenere il tutto, il calcio non è un’impresa con un fatturato ed una crescita costante; se retrocedi perdi l’80% degli introiti! Allora a quel punto arrivava il terrore ed io smettevo di parlare del fare un nuovo stadio, non ho avuto la collaborazione del Comune di Cagliari, anzi. Con Zedda non ci fu un bel rapporto, era alle prime armi, forse oggi ci sarebbe un Zedda diverso. Per disperazione portai la squadra a Triste a giocare le ultime partite, lo feci perché ci chiusero lo stadio cosa che non è stata mai detta».

IS ARENAS – «Smontai le tribune dello stadio e ci facemmo ospitare temporaneamente da Quartu, prima di capire se fare il nuovo stadio a Cagliari o a Elmas. Per quello mi hanno arrestato, anche se poi mi hanno assolto in formula piena per non aver commesso il fatto: epr il Cagliari sono stato messo per tre mesi in galera. Decidetti di andare via, era diventata una guerra tra me e le istituzioni ed era giusto che a pagare non fosse il Cagliari. ».

LA CESSIONE – «Il Cagliari era sano economicamente ed in Serie A per cui si fece avanti Giulini. Glielo cedetti con piacere e ad un prezzo basso perché io mi vedevo non più nelle condizioni di portare avanti il Cagliari. La strada intrapresa avrebbe fatto subire alla squadra, quando c’ero io non mi aprivano lo stadio, quando è arrivato Giulini glielo hanno aperto. Era una guerra personale ed il Cagliari non doveva difendere le battaglie del presidente Cellino. I miei figli sono nati presidenti del Cagliari, erano dei bambini, il tempo è volato. Io ho fatto l’imprenditore nel mondo del calcio dopo che mi sono staccato dai miei fratelli. Il calcio è un lavoro, non può essere un hobby per quanto uno possa essere ricco».

FAMIGLIA – «Ho portato la mia famiglia lontano dall’Italia nel 2004 perché tornavo a casa e sentivo che i miei figli piangevano ogni giorno. Venivano picchiati o offesi a scuola de la squadra aveva perso una partita. C’era chi li considerava dei “bastardi figli di Cellino” e c’era anche chi li adulava, mia moglie poi non poteva andare a fare la spesa: questo è vivere il calcio. Per andare contro alla stampa, quando mi diceva che non compravo i giocatori perché non avevo soldi, finivo per rovinarmi. L’ambiente mi influenzava, non puoi esserlo se sei un imprenditore serio. Con mia moglie siamo sposati da 37 anni, ne sono orgoglioso, credo in dio e nella famiglia».

LA FEDE – «Ci sono delle ferite che ti restano dentro, molte volte faccio dei sogni che sembrano realtà, devi convincerti che queste cose non stanno succedendo a te. Mi aiuta il fatto di credere in dio, non voglio sembrare bigotto o troppo fatalista, ma io nel centro sportivo del Brescia ho fatto costruire una chiesa in onore della Madonna immacolata. Venne un esorcista a dirmi che così facendo avevo sfidato il diavolo, non ci avevo creduto, ma da allora di male me ne è stato fatto tanto. Nella vita di fanno delle scelte, non si può andare con qualcuno di sbagliato solo perchè è il più forte. Non so se sarà paradiso o purgatorio, ma sono sicuro che non andrò all’infermo».

SCHILLACI – «Boniperti, presidente della Juventus all’epoca, voleva Fonseca per cui in cambio voleva darmi Schillaci. Io gli dissi che l’avevo già venduto al Napoli, che l’impegno era già preso anche con il procuratore. Boniperti mi ha detto che l’avrei dovuto cconvicnere perché lui voleva andare all’Inter. Costava 8 miliardi e lui prendeva 1 miliardo e mezzo, anche Mazzone lo voleva al posto di Fonsaca. Mi chiamò il suo procuratore e mi consiglio di non insistere per Schillaci perché il giocatore non voleva venire al Cagliari ed aveva già un accordo con l’Inter. Mi disse che mi stavano usando solo per evitare che Schillaci passasse ai nerazzurri. Mazzone allora mi disse “se non mi prende Schillaci, mi prenda Klinsmann”. Lo chiamai – era in ritiro con la Nazionale – e mi ringraziò per la proposta e mi disse che aveva già un accordo con il Monaco. Voleva cambiare vita e portare la sua vita a Montecarlo. In quel momento non sapevo come muovermi, Camine Longo vedeva che non ero esperto e ne approfittava. Ora che ci penso sono tutti morti, sono l’unico sopravvisuto di questa storia».

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